Una serie di racconti brevi nati come vaccino quotidiano contro il coronavirus.
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Impaziente uno
Dobbiamo stare uniti e fiduciosi, perché insieme ne usciremo e tutto sarà come prima, forse anche meglio di prima. Così dice il bel signore elegante in doppiopetto blu, cravatta sobria e pochette d’altri tempi. Intanto però, mi raccomando, tutti a casa: nessuno esca se non è proprio necessario.
Alida spegne il televisore, acceso da ore come ormai ogni giorno, e decide di farsi una bella tisana rilassante. Si alza dalla poltrona, piena di cuscini impilati per fare meno fatica, e si avvia verso la cucina col suo passo sghembo, un po’ da gambero. Colpa dell’anca dispettosa e di quell’intervento rimandato troppo a lungo.
Incrocia la sua faccia riflessa male nel vetro scuro della credenza e si blocca per un attimo. E’ proprio lei quel fantasma in vestaglia e capelli stopposi dalla ricrescita ostinata? Si caccia fuori la lingua e passa oltre.
In fondo, che mi frega? pensa, mentre accende il bollitore. Sono anni ormai che vivo così, da reclusa volontaria. Solo io e il mio Gengis Khan: a proposito, dov’è finito? Forse ha fiutato il clima da coprifuoco, o magari è pronto a un altro dei suoi inutili agguati, in giro per la casa.
Valeriana, melissa, camomilla, malva, passiflora: che si fottano tutti quanti, pensa forte Alida, mentre fa danzare la bustina nella sua tazza dei Minions.
Poi raggiunge la finestra affacciata sulla via di fronte e la spalanca con una mano sola. E’ un marzo imprevedibile ma l’aria ancora fresca non la spaventa per niente. Soprattutto, non rinuncerebbe per nessuna ragione al suo passatempo preferito: spiare il mondo che si muove quattro piani sotto di lei. Solo che, fino a pochi giorni fa, di vita da osservare ce n’era tanta. Adesso, in questi giorni di coprifuoco, bisogna aguzzare la vista, non distrarsi un attimo, cogliere i dettagli più minuti.
Ora per esempio, a parte un trabiccolo della raccolta rifiuti che se ne va, non si muove nulla. Ma Alida sa essere paziente: sorseggia la tisana e aspetta, potrebbe farlo per il resto della sua vita. Così, ecco spuntare la ragazza che vive all’angolo, capelli raccolti ed eterna tuta nera, di ritorno della passeggiata al parco con il suo Terranova nero. Guarda il telefono, poi il cane, di nuovo il telefono, mai verso il cielo.
Sbuca dal nulla il mendicante un po’ tossico che barcolla in zona da anni. In genere appiccicoso e insistente con tutti, stavolta neanche ci prova a raggiungere la ragazza, che nel frattempo si infila nel suo portone.
Arriva un furgoncino a gran velocità, frena di colpo e si ferma nella strada deserta, mette le quattro frecce come se importasse a qualcuno. Scende al volo un tizio alto e muscoloso, con una mascherina protettiva in faccia, che apre il portellone e scarica due casse d’acqua, le impila sul carrello e le consegna al palazzo di fronte. Alida quello lì lo vede spesso, e ha pure notato che, qualche volta, ci mette molto più del solito a consegnare le sue casse. Corre voce che fornisca anche qualche altro servizio espresso a signore solitarie o annoiate.
Distratta dal furgone, Alida non ha notato un tizio pelato, giubbotto scuro e jeans, che attraversa la piazzetta di fronte e si avvicina con passo sicuro. La donna strizza gli occhi per mettere meglio a fuoco, ma il sole quasi di fronte non l’aiuta. Chi diavolo sarà?
Nel frattempo, il tizio dell’acqua è già tornato in strada: non sono tempi da contatti ravvicinati. Butta il carrello nel furgone, sbatte tutti gli sportelli possibili e riparte sgommando. Il mendicante è sparito nel nulla come era apparso. Lo sconosciuto invece continua pericolosamente ad avvicinarsi ed Alida continua a non conoscerlo.
Un nuovo inquilino? Un parente inatteso? Una spia della polizia? Un untore assassino? Per fortuna, sono grossi cavoli amari di qualcun altro, pensa Alida. Poi, lo squillo improvviso e quasi estraneo del suo citofono la fa sobbalzare.
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Impaziente due
Fottuti bastardi turbocapitalisti! Allora volete ucciderci tutti quanti!
Dopo tre giorni e tre notti chino sul portatile a scorticare la rete, a confrontare grafici e tabelle, a forzare banche dati e a pescare il marcio nel deep web, dormendo niente e mangiando schifezze, Stefano ha finalmente trovato LA RISPOSTA alla domanda che tutti si fanno da giorni.
Adesso sa come è successo tutto questo casino ed è il solo in grado di rivelarlo al resto del mondo. Si abbandona stremato sul divano e si rigira compiaciuto nella mente il lungo percorso, tanto faticosamente ricostruito, di questa sporca congiura internazionale.
Tutto è cominciato con la richiesta di Trump al Pentagono di sviluppare una nuova, segreta e potentissima arma batteriologica da tenere in serbo nel caso in cui la crisi con l’Iran precipiti. Il Pentagono si attiva di conseguenza ma, come fanno sempre gli Americani, la fase di produzione del prodotto, quella rognosa e potenzialmente dannosa, dove decidono di appaltarla? Ovviamente in Cina, in un laboratorio chimico blindato in zona Wuhan.
Un giorno, però, qualcuno sbaglia qualcosa e quella merda filtra fuori dal laboratorio e contagia un pipistrello, un topo, una zanzara, vai a sapere. Poi il contagio passa all’uomo e scoppia il casino. Il governo cinese minimizza per giorni e giorni, e vorrei vedere, finché non è costretto ad ammettere il contagio.
Per un po’, sembra solo una rogna interna alla Cina, coperta dai soldi della CIA per non rovinare l’appetito all’Occidente. Ma il contagio si muove inesorabile, prima in Corea e Giappone, poi colpisce duro in Italia. Allora tocca ai leader del resto d’Europa far finta di niente, pagati da chi già ben sapete, che non può mai sfigurare, da che ONU è ONU.
E’ solo un’influenza un po’ più cattivella del solito, gente, mantenete la calma e continuate a comprare. Ma la situazione peggiora di giorno in giorno, anche Francia e Germania devono correre ai ripari. Allora anche la CIA cambia strategia, investe miliardi nel vaccino, che viene sviluppato in Canada a tempi di record e in assoluto segreto, sacrificando anche le vite di decine di cavie umane, in gran parte senzatetto newyorkesi prelevati a forza.
Dunque. al momento, il vaccino sarebbe pronto per essere venduto a prezzi esorbitanti da una delle principali multinazionali del farmaco. Ma si aspetta che la pandemia diventi davvero fuori controllo, per aumentare il terrore e di conseguenza il disperato bisogno di una cura.
Così, da un errore potenzialmente catastrofico si è giunti alla più perfetta e pulita arma di sterminio di massa. O meglio, lo strumento più efficace e raffinato per selezionare una sola, nuova casta interrazziale, sana e benestante, l’unica in grado di vaccinarsi e sopravvivere.
Tutto questo sarebbe andato certamente in porto se, a un certo punto, la Disney non avesse perso il controllo di Topolino che, impadronitosi di una dose ancora sperimentale di vaccino, avrebbe costretto Zio Paperone a scegliere fra Qui…
“Crisi respiratoria superata.”
“Stefano, puoi sentirmi? Andrà tutto bene, ok?”
“Paziente sedato e intubato, ottimo lavoro.”
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Impaziente tre
Non è Arianna che porta fuori Enea per la sua passeggiata mattutina. Proprio il contrario, Enea conduce Arianna dove vuole lui, fingendo per un po’ di assecondarla e all’improvviso imponendosi a strattoni, quando gli pare.
Certo, il percorso è più o meno quello: il giro dell’isolato fino al piccolo parco dietro al palazzo nuovo. Ma ogni giorno ci sono piccole, infinite varianti legate a un odorino inatteso, un cartoccio abbandonato che sembra promettente, il rivolo di piscio di un altro cane, un botto improvviso che consiglia di fermarsi a valutare se sia sicuro proseguire.
Arianna lascia fare, ci mancherebbe. Anzi, rinuncerebbe forse a tutto della sua vita tranne che a questa oretta, adesso un poco meno, di vagabondaggio semiguidato. Abituata com’è, da sempre, a fare le sue scelte in totale autonomia, adora lasciarsi un po’ andare, senza responsabilità né decisioni da prendere.
Si sorprende a pensare che neppure con Marco le capita di abbandonarsi così. Lì c’è sempre il gioco del dare e avere, il delicato equilibrio di forze, la necessaria gestione degli spazi. Enea invece chiede poco e restituisce moltissimo, o almeno così sembra a lei.
In un attimo, sono già all’ingresso del parco e solo adesso Arianna si accorge che non hanno ancora incontrato nessuno. Niente da fare, la gente è sempre più spaventata. Come darle torto? Enea ispeziona la prima aiuola, fiutando il solito nemico immaginario, mentre a lei vibra con insistenza la chiappa destra: le amiche si sono di nuovo scatenate sulla chat, ma per lei questo momento è sacro e merita rispetto.
Comincia il gioco di tira e molla col guinzaglio per gestire i movimenti di Enea. Lui punta i soli due bambini che zampettano nel prato poco più in là. Lei prima lo illude, poi lo blocca a tre metri di distanza. Uno dei due ride forte e indica il cane.
Proseguono sul vialetto e incrociano una coppia di anziani che avanzano sui due estremi della striscia di cemento. Lui indossa una mascherina spiegazzata, lei un foulard scolorito sulla bocca. Parlottano entrambi, in apparenza ognuno per conto proprio, sembrano un po’ suonati. Tocca passarci in mezzo, Enea davanti e Arianna dietro a rimorchio, rispettando più o meno il metro e mezzo da ognuno dei due, guarda te che gente.
Arrivano alla piccola area riservata ai cani, al momento deserta. Arianna sgancia il guinzaglio e fa un po’ sfogare Enea, che si lancia in un paio di corsette senza convinzione e poi si ferma, come in attesa di qualcosa. Lei sfila il telefono dalla tasca dei pantaloni e scorre veloce la cascata di messaggi, li leggerà dopo, con calma, o anche no.
Riprendono il cammino e uno dei due bimbi di prima passa veloce in bici, scarta appena in tempo per non travolgere Enea, che non fa una piega. Arianna si ritrova a pensare che non ha nessuna fretta di ritrovare Marco, affondato sul divano di casa, in eterna battaglia galattica a distanza col suo amico di Pioltello.
Attraversano la piazzetta davanti a casa, deserta a parte un furgoncino per la consegna dell’acqua a domicilio che inchioda davanti a un portone. Sul fondo della piazza, Arianna intravede il poveraccio che gira da anni per il quartiere, pieno fino ai capelli di chissà che cosa: certo il virus a quello gli rimbalza.
Poi sente il telefono vibrare con insistenza, che sia lui? Ma no, è la rompipalle di una compagnia telefonica, quelle sopravviveranno anche all’estinzione della razza umana, vuoi vedere? La manda subito a zappare e riattacca.
Il tizio dell’acqua risale sul furgone e parte a razzo. C’è una vecchia che sembra fissarla dalla finestra, proprio un cazzo da fare. Forse dovrà parlare seriamente con Marco di un po’ di cose, quando sarà tutto finito. E se poi invece non dovesse finire più?
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Impaziente quattro
Dove cacchio sarà Vicolo Oedipa Maas? Pietro smanaccia lo schermo del navigatore, sempre più spazientito. E pensare che, fin qui, oggi è filato quasi tutto liscio. Ma è la legge delle consegne a domicilio: a fine giornata, quando non ne puoi davvero più, ecco arrivare la mission impossible, il cigno nero, la sfiga che si fa guasto al furgone, o pedone impazzito, oppure indirizzo introvabile, come pare sia adesso.
Ma Cristo, alle sette di sera di una giornata di quarantena, in una città appestata da un virus sconosciuto e tuttora incurabile, non ci poteva stare anche un babbione in un Corso Cavour o una Via Garibaldi? Troppo banale? Ma certo, caro il mio Pietro, a te doveva capitare Vicolo Oedipa Maas, e allora perché non direttamente Via della Sfiga?
Inchioda il furgone a motore acceso, cosa un tempo vietata: quando il pm10 ancora spaventava qualcuno. Riprova per la quarta volta a inserire l’indirizzo: toglie una h di troppo, aggiunge una a, eccolo finalmente, vicolo maledetto! Non è neanche lontano.
Riparte sgommando e si mangia in un soffio un paio di chilometri di strade deserte, col suo bel permessino che svolazza appiccicato al parabrezza. Ancora una svolta a destra, venti metri a sinistra e ci sei, dice la voce bionica. Pietro è così cotto e incazzato che si farebbe anche lei, seduta stante, se solo avesse una parvenza di corpo, tanto per dire come è messo.
Chissà che la sorte non lo ripaghi con una bella sorpresa dietro la porta dell’ultima consegna. Un po’ ci spera, ma non lo confessa nemmeno a se stesso, per non rischiare la delusione.
Vicolo Oedipa Maas 49. Inchioda, smonta e scarica. Due casse di chinotto. Capirai la goduria.
Sulla bolla c’è solo una cifra: 966. Pietro la compone sul citofono e aspetta. Dopo un minuto buono, si accende il faretto e una voce roca chiede chi è.
“Consegna Prontodrink.”
“Quinto piano.”
La porta scatta. Un uomo, o al massimo una vecchia: mettiti il cuore in pace, Pietro.
Si mette mascherina e guanti, piazza le casse in ascensore e sale. Scarica al piano e cerca la porta: ne vede una socchiusa, pesantemente blindata. Ci posa le casse davanti e sfila il tablet dalla custodia.
“Le lasci pure lì,” – dice il tizio dall’interno.
“Guardi che deve firmare,”ribatte lui.
“Non può fare lei?”
“No, mi spiace, basta una sigla sul tablet.”
Silenzio. Attesa. Poi una mano con un guanto da saldatore blu si sporge dalla porta. Pietro le offre il tablet col pennino infilato, la mano lo prende e lo porta dentro, mentre la porta si socchiude. Si intravede un tizio con un casco integrale da motociclista con visiera oscurata che restituisce a Pietro il tablet con sopra uno sgorbio illeggibile.
“Grazie.”
“E’ stato un piacere.”
Il trasportatore riprende l’ascensore, maledicendo il suo lavoro, il virus cinese, se stesso e il mondo intero. Scende in strada e l’istinto gli trasmette una scossa leggera, come un insetto lungo la schiena. Prima ancora di vedere qualcosa, la percepisce. Una presenza, poco più in là, dentro il SUO furgone.
Maledetto idiota, non ho chiuso le portiere: mai successo!
Si avvicina moooolto lentamente, ma ha il fiato corto, gli sembra di pesare un quintale.
Passa da dietro, sfila lungo la fiancata destra, arriva all’altezza del finestrino del passeggero, si sporge appena verso l’interno. Due occhi spaventati si spalancano su di lui.
Una ragazzina, avrà si e no sedici anni, capelli lunghi un po’ scarmigliati e mascherina rosa a pois bianchi.
“Signorina, scendi subito dal furgone.”
“Portami via, ti prego,” – supplica lei.
“Ma che dici? Via dove?”
“Via da questo incubo.”
“Torna a casa, dai. Io non voglio casini. Chiaro?”
“Ti prego!”
Pietro sbuffa, poggia una mano sul furgone e si guarda i piedi. Perché tutte a me? Perché?
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Impaziente cinque
Alida ha sentito un suono quasi dimenticato: quello del suo citofono. Si avvicina lentamente alla porta d’ingresso e si stringe forte alla stampella mentre risponde.
– Chi è?
– Signora Alida, sono Giancarlo, abito qui vicino, al 110: forse ci siamo anche già incontrati per caso, qualche volta.
– Non credo proprio, sa? Io non esco mai.
– In ogni caso, forse lei non ha il computer e ancora non lo sa, ma è nato qualche tempo fa un gruppo su internet che riunisce i vicini di casa, un gruppo per ogni quartiere, in realtà.
– E io cosa c’entro?
– Il gruppo può essere utile anche a lei perché offre servizi pratici al vicinato. Se uno cerca una babysitter o un elettricista, oppure ha bisogno di farsi portare la spesa a casa, cose di questo genere.
– Guardi, io sono pensionata e non posso permettermi cose del genere.
– Ma no signora, guardi che si tratta quasi sempre di servizi volontari e gratuiti, diciamo di scambi di favori tra vicini di casa. Magari semplicemente di fare due chiacchiere con chi ne ha bisogno. In questo periodo così difficile poi…
– Lei è molto gentile, ma io sto bene così.
– Davvero non ha bisogno di nulla? E nemmeno le va di scambiare due parole? Stia tranquilla, uso sempre la mascherina e posso restare sul pianerottolo.
– Un po’ abbiamo chiacchierato, non crede?
– Ahah, lo sa che è davvero simpatica, Alida?
– Grazie di cuore. Però mi spiega come fa a sapere il mio nome, scusi?
– Come le ho detto, questo gruppo su internet raccoglie molte persone del quartiere, un paio anche del suo palazzo. In questi giorni di emergenza, abbiamo chiesto a tutti di segnalare le persone anziane… o anche non anziane, che abitano sole, così da poterle contattare per sapere se va tutto bene.
– Capisco, grazie per il gentile pensiero.
– Bene, allora posso stare tranquillo, Alida? Non ha davvero bisogno di nulla?
– No, davvero… anzi, una cosa ci sarebbe, Gianfranco.
– Giancarlo, ma non c’è problema… mi dica pure, qualsiasi cosa.
– Ecco, se non le dispiace, vorrei sapere chi dei miei vicini le ha fatto il mio nome.
– Guardi, sono sincero: proprio non ricordo, al momento.
– Ma, guardando su quel suo computer, potrebbe ritrovarlo, giusto?
– Credo di sì, ma… signora, che importanza ha? Guardi che si tratta di qualcuno che si preoccupa per lei.
– Ho capito, davvero. In ogni caso, se trova quel nome, anche domani o dopo, venga pure a trovarmi e ci prendiamo un caffè.
– Detto così, sembra un po’ minaccioso nei confronti della sua vicina, non crede?
– Minaccioso? Non dica sciocchezze. Viviamo tempi difficili, caro mio. Piuttosto, prima ha detto “vicina”: dunque mi conferma che è stata una donna a spifferare sul mio conto?L’uomo giù in strada, chino sul citofono, scuote la testa con un sorriso amaro.
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Impaziente sei
Mi sa che sono morto. Giuda cane, manco me ne sono accorto e sono schiattato, c’è un cazzo da fare. Roba cattiva, l’ultima che mi sono fumato. A parte che da un po’, robaccia a parte, mi sento più strano del solito, debole e gran sudate e la febbre e tutto. Ma la polmonite, già fatta l’anno scorso. Può tornare? chi cacchio lo sa…
Però di visioni strambe ne ho già da un pezzo, tipo giorni, non chiedermi quanti. Prima ne ho visti due o tre, poi sempre di più. Mi spiano, mi seguono, vogliono farmele pagare tutte quante, capito? Uomini mascherati, sissignore. Ma mica quelli dei fumetti. Sì, magari! Quelli erano buoni e simpatici, sono stato bimbo anch’io, cosa credi?
No, questi mascherati qui, e tengo a precisare che ci sono in mezzo anche donne, insomma questi visi pallidi mica sono buoni. Primo, non parlano mai. Secondo, camminano di sghembo come gamberacci sciancati. E poi non capisci se sorridono o ti guardano male o che cosa, perché gli occhi senza bocca mentono sempre, vero o no?
Le prime volte io, ingenuo, gli dicevo cose tipo: olà, ancora carnevale mister?
Ma quelli mica gradivano la cosa, si capiva da come svicolavano via veloci, uno mi ha anche mandato un vaffa chiaro e tondo. Bella educazione cittadina, complimenti messiè monclèr. E poi sarei io lo scarto differenziato: diverso da te sicuro.
A una tipa caruccia con la mascherina rosa le ho pure detto: ti conosco, mascherina! Ma quella subito mi risponde: ma stai al tuo posto va! E poi scappa via. Sempre avuta sfiga con la passera io, che ci vuoi fare.
Insomma adesso questi qua sono ovunque, sul serio. Prova provata che devo essere schiattato qualche notte fa e manco me ne sono accorto. Se incrocio don Vito gli chiedo un paternoster così almeno riposo in pace, una volta per tutte.
Grazie a lui ho riposato mica poco finora, sulla branda nello stanzone dietro l’oratorio, sempre aperto, noi di strada lo sappiamo. Ma adesso sono spariti tutti anche da lì, prima almeno si potevano fare due chiacchiere, magari scroccare anche una doccia e un cafferino. Niente bestemmie, però, che Gesù bambino si offende.
E poi che storia è che adesso i negozietti di quartiere sono tutti chiusi? Dove lo rimedio il mio litrozzo di vino alla spina, la michetta o la scatoletta di tonno gentilmente offerta? Qui oggi si salta sia la minestra che la finestra, vuoi scommettere?
Sai che ti dico, me la faccio pure io una mascherina: è festa per tutti, no? Prendo su questa vecchia stoffa marcia e via andare. Voglio vedere se adesso ancora mi schifano o se sono entrato nel club. Parola d’ordine? Forse La mucchina: adesso lo dicono tutti, magari funziona.
Guarda qui che deserto anche la piazzetta.
No, il tizio che porta le bibite neanche lo considero. Una volta gli ho chiesto una gazzosa please e mi ha preso a pedate nel culo, per gradire. La ragazzetta là col cagnone nero ogni tanto una siga me la molla, ma oggi va di fretta anche lei. Chi ce la fa a raggiungerla, con questo fiatone che mi ritrovo?
Porcaloca, se questo è l’aldilà, non è mica un bel mestiere.
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Impaziente sette
Vuoi vedere che, alla fine, mi toccherà sposarmela?
Roberto è di nuovo barricato sotto le coperte di un letto non suo, ad occhi sbarrati. Lei si è alzata presto, come sempre, per prendere possesso del bagno, sfamare i gatti e fare la sua ginnastica quotidiana.
Lui, non avendo nulla da fare, fa quello che gli è sempre riuscito meglio: prende tempo. Ogni mattina, da una settimana, gli ripassa davanti agli occhi quella serata fatale al Guantanamood. Lui stufo degli amici, lei già un po’ brilla. Un incontro al bancone come nemmeno nei peggiori film della rete. E poi una cazzata tira l’altra: ci vuol niente a farsi piacere qualcuno se tu di base non ti piaci.
Lei solitaria inquieta, architetto disoccupato, attivista sociale incazzata col mondo, gattara distratta, pessima cuoca.
Lui multistartupper, figlio di papà agli sgoccioli, amante whisky (sempre meno) pregiati e motociclette d’annata, belloccio quanto basta, prostatiti ricorrenti.
Insomma, quella famosa sera di una settimana fa, i due si sono piaciucchiati abbastanza per mollare subito gli amici di lui e finire presto nel letto di lei. Anche perché: “io domani ho la signora delle pulizie che arriva sul presto”, furono le ultime, fatali parole di lui.
Poi le inevitabili acrobazie notturne, senza infamia (secondo lui) e senza lode (pensò lei).
Insomma, la mattina dopo, lui già si preparava a quella sua speciale fuga felpata in cui è campione olimpico, quando lei, agguantato il cellulare dal comodino per controllare i messaggi, lo fissò raggelata.
Nella notte, era scattato l’Editto: tutti a casa fino a nuovo ordine per evitare il contagio. Uscite concesse solo a chi presenta apposita autodichiarazione da scaricare online.
Hai una stampante? è stata la prima domanda di lui, appena rientrata la sorpresa.
No, lei non ha una stampante in casa, ma in testa ha mille casini arretrati e timori futuri. Insomma, Roberto, come si fa a mollare a casa da sola in piena pandemia una che alla fine ti ha dato la sua fiducia e anche qualcosina di più?
Così, con la crema dei virologi e dei politici mondiali che gli remano contro, Roberto interpreta da una settimana il suo ruolo più difficile e prolungato: quello del compagno attento e affidabile.
Superata la silenziosa disperazione, si è convinto di vivere un involontario esperimento sociale che può anche tornare utile: magari scopro che è una vita che mi piace, ha pensato.
Dopo quattro giorni, ha accolto con sollievo la certezza che scapperà appena possibile, e la cosa gli ha restituito una certa serenità: forza Roberto, si tratta di stringere i denti e tirare avanti, un po’ come in un nuovo reality. Marito a orologeria. Temporary story. Due cuori e una condanna. Insomma, una cosa così.
Il copione è definito: ginnastica mattutina, lettura congiunta di notizie e cazzatine social, pulizie casa e lettiera dei gatti, pranzetto leggero, spesa online, puntatina su Netflix, altre notizie, altre cazzatine social, telefonate agli amici, cenetta sfiziosa (cucina lui), di nuovo Netflix fino a notte fonda.
Ovviamente, non si è mai più scopato.
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Impaziente otto
markus95 è collegato
serendipity99 è collegata
– markus95: come stai?
– serendipity99: come vuoi che stia: reclusa e infelice. lei non c’è?
– markus 95: uscita col cane. mezz’ora d’aria.
– serendipity99: per il cane o per te? :))))
– markus 95: direi per tutti, no?
– serendipity99: e se torna di botto?
– markus 95: sto giocando a Fortnite con Matteo.
– serendipity99: direi un’alibi di ferro, bravo.
– markus 95: infatti. e Lorenzo invece, dove lo hai nascosto?
– serendipity99: è in missione Esselunga.
– markus 95: chissà che coda mortale, poveraccio. in fondo, è uscito per sfamarti
– serendipity99: pensavo fossi tu a sfamarmi…
– markus 95: puoi dirlo forte, affamata69.
– serendipity99: oh sì, così dai… non resistooooooo!!!
– markus 95: sì, brava, prendi per il culo. ma se fossi lì…
– serendipity99: e allora vieni, dai, che aspetti?
– markus 95: guarda che arrivo sul serio, non provocarmi.
– serendipity99: dai vieni subito, ti aspetto, micione!
– markus 95: micione no, ti prego! hai rovinato tutto.
– serendipity99: mannaggia!
– markus 95: ma perché fai così? lo sai che mi manchi.
– serendipity99: ti manco? e che sono, una figurina?
– markus 95: il rollinz di Luke Skywalker. 🙂
– serendipity99: il pezzo di un puzzle.
– markus 95: sei un vero rompicapo.
– serendipity99: e tu un vero rompi****o! :))))
– markus 95: guarda che hai cominciato tu.
– serendipity99: e allora? mi andava…
– markus 95: non ti va più?
– serendipity99: noia noia noiaaaaaaa!!!!
– markus 95: e se mettessi la mascherina?
– serendipity99: uhm, stuzzicante. e se io tossissi? che brutto “tossissi”!!!
– markus 95: la parola più brutta del mondo.
– serendipity99: vero? non me n’ero mai accorta.
– markus 95: non usarla mai più! 🙂
– serendipity99: promesso.
– markus 95: bugiarda, sono sicuro…
– serendipity99: sicuro di che?
……..
– serendipity99: sei ancora lì?
…….
markus 95 si è scollegato
– serendipity99: capito, fine della mezz’ora d’aria. qui mi toccherà trovarmi un altro nerd per cominciare a giocare a distanza pure io. quarantena di merda. che poi mica sono impestata, dunque non è vera quarantena. nemmeno la soddisfazione di avere qualcosa da raccontare ai miei nipotini del tremila. ma il nonno poi chi sarà mai? non certo questo qui, che mi cerca nelle pause piscio del cane della fidanzata. ma neanche quell’altro, che è uscito un’altra volta senza la lista della spesa e si dimenticherà come sempre in necessario ma in compenso spenderà un capitale in minchiate. Mi merito di più, santa Madonna! Detto poi da una che parla da sola in una chat… Altro che nipotini: meglio che ci estinguiamo tutti quanti entro l’estate!
serendipity99 si è scollegata
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Impaziente nove
Martino è stufo, non ne può davvero più, ne ha le palle piene di questa infinita reclusione. Allora prende ed esce di casa così come si trova, senza guanti né mascherina, solo una giacca leggera e le scarpe più comode. Scende in strada e c’è il deserto, né auto né persone né cani né cacche di cane. Lo immaginava, ma vederlo è ben diverso.
Dove vuole andare? Non lo sa nemmeno lui, ma sa come vuole arrivarci. Proprio come facevano dei tizi in un libro che ha letto, vuole fare quello che nella sua vita tranquilla e accomodante non ha mai avuto il coraggio di fare: tirare dritto.
Così, si ferma sotto casa e si guarda attorno. Senza darsi troppo tempo per pensare, sceglie la prima suggestione che gli arriva: un timido raggio di sole che filtra attraverso due palazzi. Prende quella direzione e tira dritto, scartando solo se necessario e il meno possibile dalla linea retta che si è imposto di seguire. Gira attorno a un bar chiuso, attraversa un piccolo supermercato senza comprare nulla, attraversa un ponticello sul naviglio, aggira un cavalcavia, si inzuppa le scarpe nell’erba ormai alta di un piccolo parco pubblico, incontra si e no cinque persone, tutte con mascherina, qualcuna col cane, tutte blateranti del nulla al cellulare. Lui tira dritto, sempre dritto, senza mai voltarsi indietro.
A un incrocio, lo ferma una pattuglia della polizia: due giovani agenti, anche loro con mascherina, evidentemente molto scocciati di trovarsi lì. Lui tira fuori l’autocertificazione, millanta una spesa alimentare da fare in zona. Gli dicono che è un po’ troppo lontano da casa, ma alla fine chiudono un occhio, non se la sentono di infierire su un tizio dall’aria così indifesa.
Così, Martino riprende la sua strada, attraversa altre vie deserte e quartieri addormentati, macina chilometri per ore, insensibile alla fatica che pure dovrebbe cominciare a farsi sentire. Finché sente qualcosa risuonare in fondo a una via periferica. Si ferma, ora un po’ ansimante, per cercare di ascoltare meglio: una musica allegra, canti, urla e battere di mani
.Ci sono già state musiche e feste dai balconi, i primi giorni, ma questa sembra una cosa diversa. Martino riprende a camminare con passo spedito in quella direzione, sempre dritto davanti a sé. Arriva a un caseggiato scrostato e fatiscente, ma non vede nessuno sui balconi pieni di piante coperte di teli di plastica, veneziane sfilacciate e tende scolorite. Ma i suoni di festa si sono fatti più forti. Gira attorno al palazzo e resta a bocca aperta. Davanti a lui si apre un campo pieno di gente che balla, gioca, beve e si diverte. Uomini, donne, bambini e anziani, tutti insieme e tutti uniti, alla faccia dei divieti.
Lui se ne resta lì impalato, indeciso se fuggire da dove è venuto o proseguire il suo cammino, che però gli impone di attraversare il campo in linea retta. Una leggera spinta da dietro le sue spalle lo fa sobbalzare.
Che aspetti? Vieni a bere qualcosa anche tu!, gli dice un faccione allegro a poche dita dal suo viso. Poi il tizio prende Martino per un braccio e lo trascina in mezzo alla festa. Qualcun altro gli porge un bicchiere di birra. Lui è tramortito dalle voci, dai colori, dal vedersi tutte quelle facce attorno, così allegre, così vicine.
Non si può, non potete fare così, non vi hanno avvisati? Ma nessuno lo ascolta, sono tutti troppo impegnati a divertirsi e a godersi il momento, costi quel che costi. Invece a Martino gira la testa, sempre più forte: cerca di aggrapparsi a qualcuno ma è inutile. Si sente svenire e alla fine perde i sensi e cade nel salotto di casa sua.
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Impaziente dieci
Marco è abbandonato sul divano, esausto, con la cuffia abbassata sul collo della t-shirt dei Nirvana e i piedi fasciati dai calzettoni posati sul tavolino basso davanti a sé.
Arianna è seduta sul bordo di una sedia, accanto alla finestra aperta sul primo sole primaverile, il viso arrossato e le gambe che fremono nervose dentro la tuta nera.
E’ lei che ricomincia a parlare, con la voce ancora incrinata dalla rabbia.
– Ok, allora restiamo di lasciare a casa Rosita per due settimane e poi vediamo.
– E’ anche nel suo interesse, ti ripeto: senza contratto non ha un motivo plausibile per spostarsi e rischia…
– Capito, non ricominciamo, per pietà, – chiude lei, alzandosi di colpo per aggirarsi nervosa per la stanza. – Pensiamo invece a organizzare il lavoro.
– Organizzare il lavoro? – replica lui, togliendo i piedi dal tavolino e chiudendo il portatile che teneva sulle ginocchia.
– Mi sembra ovvio, sennò chi pulisce cosa? E quando?
– Semplice, quando è sporco si pulisce.
– Non se ne parla. Quindi direi: il sabato mattina, pulizie generali. Io passo il piumino sui mobili e lo swiffer per terra. Tu lavi i pavimenti. Poi io pulisco la cucina e tu pensi al bagno. Il mercoledì, tu fai la polvere e io il bagno e i vetri.
– Ma io posso continuare a cagare tutti i giorni o devo aspettare il mio turno?
– Fai lo spiritoso, quello sì che ti riesce bene.
– Oddio cheppalle! – esclama lui, alzandosi per raggiungere la finestra aperta. Accende una sigaretta e resta di spalle, sporgendosi fuori.
– Tu sbuffa pure quanto vuoi, cosa vuoi che mi freghi. A me spiace soprattutto per quella poveretta che resterà senza lavoro per un bel po’.
– Come quasi tutta l’Italia, del resto, – replica lui.
– Io non posso pensare a quasi tutta l’Italia, ma almeno penso a chi lavora per me. Infatti voglio darle comunque la metà del compenso, per superare questo periodo.
– Brava, bella idea. Le salverai la vita.
– Ha parlato Gino Strada. Sarà anche poco, ma sempre più utile che cliccare su qualche petizione online.
– Perché, ti da fastidio per caso anche il rumore dei tasti? – ribatte lui, picchiettando la sigaretta oltre il davanzale.
– Ma fai pure, chissenefrega: cambia il mondo dal divano, tu che hai questo potere. Però non buttare la cenere in cortile, che poi sotto rompono le palle. Mi sembra di avertelo già detto più volte.
– Guarda che Enea scalpita per la sua passeggiata.
– Cos’è, vuoi che mi tolga di torno? Guarda che la prossima uscita tocca a te.
– Marco soffoca il mozzicone sotto il davanzale e va a buttarlo nel secchio del cucinino. Enea? Preparati che si esce, contento? Enea?
– Guarda che non ha ancora imparato a parlare, – dice Arianna, acida.
– Strano, con tutto il tempo che passa con te.
– Davvero vuoi ricominciare?
– Scherzi? Piuttosto mi impicco col guinzaglio.
– Non sia mai. Cerca invece di non fare tardi.
– Perché, abbiamo impegni?
– TU hai un impegno, caro. Oggi è mercoledì: ti aspetta lo swiffer.
*****
Impaziente undici
Lara apre un occhio, poi tutti e due, proprio come fanno Larissa e Gedeone, i suoi due gatti certosini. Nei film che tanto le piacciono, ora allungherebbe un braccio nel letto, di fianco a sé, trovando solo il lenzuolo spiegazzato da una presenza recente. Cosa c’è di più romantico, e pratico, di una fuga notturna?
Lo spera con tutte le sue forze, mentre si volta con infinita cautela. E invece no, quello è ancora lì, disteso su un fianco, barba sfatta, occhiaie e tutto, che la fissa con un sorrisetto fra il furbo e il preoccupato. Lara richiude gli occhi, raccoglie i pensieri, cerca di fare il punto della situazione, soprattutto prende tempo. Allora non si è sognata tutto quanto: no bella, non ti sei sognata nemmeno una parte di questa notte tremenda.
Ricapitoliamo. Eri al Guantanamood con Sara e Beatrice, hai bevuto un po’ troppo, ti è venuta voglia di un diversivo e ti sei caricata questo tizio fino a casa. Nemmeno ben ricordi come è andata, ma è andata. Poi, chissà come e perché, avete sentito un notiziario e si è capito che era scoppiato il casino: tutti a casa fino a nuovo ordine, non contagiamoci, proteggiamo i nostri vecchi, insieme ce la faremo e vai così.
Insomma, Lara, hai scelto la serata sbagliata per scopacchiare in giro, e magari fosse poi stato in giro, perché adesso a colazione, invece dei cereali vegani, ti tocca il manzo. Com’è che si chiama poi questo qui? Dio santo che casino!
Lui almeno è paziente. Aspetta che lei si rigiri tutta la situazione del cacchio nella mente e quando è più o meno arrivata a darsi della maledetta cretina, butta lì con voce un po’ arrochita da risveglio del guerriero.
– Buongiorno, tigre.
Il primo pensiero di Lara è soffocarlo col cuscino, poi rinuncia: potrebbe non morire subito.
– Buongiorno a te. Notte strana, vero?
– Puoi dirlo forte, Lara. Però bella.
– Hai ragione… caro. Bella e strana. – E le parte uno sbadiglio che trasforma al volo in un sorriso vagamente sexy.
– Allora è successo davvero, non è stato un brutto sogno: tutti a casa fino a nuovo ordine. Pazzesco.
– Tutto vero, chi lo avrebbe detto.
Lara si alza con un colpo di reni dal lato opposto del letto. Resta un attimo seduta di spalle, mordendosi la lingua, gli occhi persi nel biancore delle tende.
– Io comunque se vuoi trovo il modo di… – accenna lui.
– Sì? – replica lei, voltandosi di scatto, speranzosa.
– Insomma, cerco di restare ancora un po’, se la cosa ti fa sentire più serena.
Lara torna a voltarsi, occhi spalancati, sospiro profondo a bocca aperta per dominare l’ansia.
– Sei un tesoro. Dico sul serio, – riesce a buttare lì.
In quel momento, arrivano Larissa e Gedeone, affiancati e con lo stesso passo fiero, miagolando all’unisono. Reclamano la meritata colazione: devono essere le dieci passate, accidenti a questo fottuto mondo contagiato! Lara coglie al volo l’esigenza dei felini e si alza, infilandosi le prime cose che le capitano a tiro.
– Hanno fame, penso a loro e poi faccio un caffè. Tu prenditela pure comoda, ok?
– Non preoccuparti, fai come se non ci fossi, – risponde lui, conciliante.
Magari, caro mio come ti chiami, magari!
*****
Impaziente dodici
Maria sale sulla sua Panda rossa e, come ogni mattina alle sette e mezza, si gode un bel pezzo di circonvallazione esterna deserta, spettrale, finalmente vivibile. Mentre scivola veloce sull’asfalto umido, ascoltando il nuovo podcast di Recalcati, si immagina come un puntino rosso che riga il grigio della città, visto da un satellite curioso ma impotente.
Nulla può intaccare i suoi privilegi di regina della strada. Ci provano i soliti cavalieri blu, in agguato più o meno al solito punto del suo tragitto. Ma le basta sventolare l’editto ufficiale per scansarli con sufficienza e riprendere orgogliosa il suo tragitto.
Fino a un mesetto fa, altro che regina: era solo sardina fra le sardine, ma non quelle giovani e fiere delle piazze, sì magari… Lei era una delle tante sardine tristi e rassegnate, inscatolate nelle loro macchinette di primo mattino, e muoviti che è verde, cretina.
Guardala adesso, invece, come è libera di scatenare il suo destriero, accarezzato dai primi raggi di primavera, verso il suo castello bianco, immerso nel primo verde fuori Milano. Qui si ferma nel suo posto riservato, prende lo zaino dal baule e fa il suo regale ingresso attraverso le porte che si scansano riverenti al suo passaggio.
Appena dentro, viene presa in consegna dal personale specializzato, in tute bianche, cappucci, mascherine e guanti, che le misurano la febbre appoggiandole un termometro istantaneo sulla fronte. Poi le sequestrano zaino e cellulare, le fanno indossare una tuta con cappuccio appena tolta dal cellophane, le infilano guanti, mascherina e sovrascarpe di plastica. Insomma, la trasformano in una di loro.
Finita la procedura di accesso sicuro, via verso il terzo piano, dove l’aspettano gli ospiti più esigenti e delicati della struttura. La prima che incrocia è Delia, a metà corridoio per la sua consueta, lentissima passeggiata. Come tutti i giorni, non riconosce Maria e si spaventa di fronte a quella specie di alieno gentile.
– Chi sei? Cosa vuoi da me? Non farmi del male!
Maria, come ogni giorno, la rassicura e le spiega la situazione, che lei è lì per aiutarla, che l’emergenza durerà ancora per poco, che si lavora per il suo bene, per proteggerla dal contagio. Tutto inutile, ma necessario sul momento a far tornare calma Delia, ma anche Attilio, che ora la guarda stranito dalla sua poltrona, con sulle ginocchia la coperta marrone e le parole incrociate che compila a caso, con disperata ostinazione.
– Sei il fantasma di Barbara? Come stai, figlia mia?
No, Attilio: sono Maria, sempre Maria. Tua figlia sta bene e verrà a trovarti appena possibile. Per adesso ci sono io qui, a fare due chiacchiere, aiutarti con le parole crociate, farti mangiare e portarti in bagno. Forse stasera riuscirai anche a dirmi un grazie, prima di dimenticarti un’altra volta di me.
Poi c’è Bruna, che è convinta che qualcuna delle giovani infermiere le rubi le camicie da notte dall’armadio. Pierino, che ti parla per ore di una guerra che ha conosciuto in gran parte con i documentari di Rai Storia che rivede di continuo. Renata, che ti guarda preoccupata per ore, senza una sola parola, poi un po’ si rilassa, magari per finire la giornata con un perentorio “fanculo”.
In qualche strano modo, ogni giornata finisce davvero, per i dannati innocenti di questa terra e anche per Maria. Allora si libera finalmente delle sue vesti bianche, si infila nelle porte automatiche e di colpo torna la solitaria regina della strada. Finestrino socchiuso e vento fra i capelli, musica stupida ad alto volume, corre verso casa. Per un attimo, felice di dimenticarsi tutto.
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Impaziente tredici
Un delicato rintocco di campane tibetane accarezza la nuca di Valentina, semisepolta dal piumone primaverile. Appare anche un braccio nudo e un grappolo di lunghe dita svogliate che perlustrano il comodino fino a trovare il cellulare. Fine delle campane e inizio di un’altra pigramente operosa giornata di clausura. Che sia martedì?
Valentina fa colazione, evitando la malsana tempesta di notizie che ha tormentato i suoi primi giorni. Ascolta un po’ di musica, stropiccia i gatti, raccoglie i pensieri. Ha una precisa routine quotidiana che l’aspetta, gli esperti consigliano di fare così, ma non ha nessuna fretta di cominciare.
Già morbidamente vestita di colori tenui come piace a lei, prende tempo alla finestra, con la tazzona di caffè americano ancora a metà. Le piace farsi accarezzare il viso dal primo sole. Soprattutto, ama cominciare a lavorare prima di mettersi alla scrivania, senza computer né tavoletta grafica. Le basta la finestra della cucina e i suoi occhi che vagano su quella piccola fetta di città.
Come ogni mattina, da quando è più o meno volontariamente reclusa, si mette a riprogettare il paesaggio urbano. Altro che cantieri chiusi e appalti bloccati: qui lei ha pieni poteri su bellezza e funzionalità di tutti ciò che la circonda.
Beve un altro sorso di caffè e si lancia per l’ennesima volta nella demolizione della vecchia rimessa che soffoca la via di fronte. Solo che questa volta ci costruisce sopra un grande centro benessere, accogliente e luminoso, tutto grandi pareti di cristallo e inserti in legno scuro, con un bel giardino pensile sul terrazzo. Ci intravede sedie a sdraio e grandi cuscini, ma non c’è ancora nessuno: è chiaro che sarà lei la prima tesserata.
Poi fa scorrere lo sguardo sul triste palazzo di fronte e decide di sfruttare al meglio il bonus facciate previsto dal governo prima che scada (il bonus o il governo). Così, rinfresca l’intonaco in una nuova tonalità lilla, cancella i graffiti, ripulisce marmi e infissi, fa sparire vecchie parabole moleste, veneziane sbrindellate e quelle vecchie, orribili tendacce verdi sbiadite che certa gente si ostina a tenere sui balconi. Bel lavoro, Valentina!
Passa un’ormai rarissima auto privata gialla che cattura il suo sguardo. La usa come un cursore che attraversa la via deserta. Cancella buche e bozzi sull’asfalto, piazza qualche bel cestino capiente nei punti strategici, fa spuntare nuovi lampioni a led dal collo un po’ vezzoso, aiuole fiorite a punteggiare i marciapiedi e una manciata di panchine a impreziosire il tutto.
Sente uno dei gatti reclamare il cibo, si ritrae dalla finestra e posa la tazza. In genere, il suo esercizio di progettazione mattutina le basta ad affrontare la giornata di buonumore. Ma oggi c’è qualcosa che le opprime lo stomaco, le accorcia il respiro, la rende inquieta. Così, Valentina si butta sul divano e riprogetta tutta la stanza.
Cambia più volte la disposizione dei mobili, l’orientamento delle sedute e delle lampade, cambia sei volte il colore della cucina e otto volte il tipo di tavolo. Appaiono e scompaiono un grande pouf, una libreria che taglia la stanza, una poltrona reclinabile, un acquario, due tappeti, nessun tappeto, pareti tutte bianche, poi ognuna di un colore diverso. Valentina chiude gli occhi, li riapre, sbuffa forte: ancora non basta.
Allora si concentra su se stessa. Si guarda dall’esterno e si vede diventare pallida e molliccia, come in quel vecchissimo spot con le figure di plastilina che ha visto su youtube. Plasmata da mani invisibili, che sono poi le sue, comincia a trasformarsi, assumendo forme sempre diverse. Una sedia, una giraffa, un lampione, una serpentina, un fiore, una palla, un salvagente, una lampada e infine un grosso gabbiano che spicca il volo, inquadra la finestra e si lancia fuori, finalmente libero.
Uno dei gatti aveva puntato il gabbiano e balza sul davanzale appena in tempo a vederlo spiccare il volo. Il felino strizza gli occhi sfiorati dal sole, vorrebbe fare qualcosa. Ma poi ci rinuncia e preferisce restare di vedetta, godendosi il tepore di un’altra, lunghissima giornata tranquilla.
*****
Impaziente quattordici
Mateus aziona lo scudo protettivo di livello 16. Attraversa veloce il centro cittadino devastato dai disordini, ormai deserto. La pandemia ha fatto strage degli abitanti. Vetrine infrante, negozi sventrati, panchine divelte, cassonetti rovesciati, semafori abbattuti. Nulla è rimasto in piedi, a parte l’immortale cyborg, che avanza a passi rapidi e sicuri, scansendo ogni anfratto con il suo visore biometrico.
Coglie una fonte di calore dietro un’auto rovesciata, duecento metri sulla destra. Allora si lancia a grandi balzi in quella direzione. A cinquanta metri, scarta di lato e si butta a terra facendo una piroetta. Centra l’umano superstite con un colpo di AK9000 in piena fronte. La faccia pallida ha un’espressione terrorizzata prima di esplodere in mille pezzi, inondando l’asfalto di poltiglia sanguinolenta.
Mateus non può godersi il momento. Il sensore coglie altra attività sospetta dentro un palazzo a ore nove, proprio sull’angolo della via. La facciata è semibruciata, alcune finestre sono esplose, l’ultimo piano è ancora fumante. Il cyborg scatta in avanti, puntando l’ingresso del palazzo. Parte un brano metal campionato che va a tempo con i suoi balzi pesanti sull’asfalto. Poi entra nell’atrio, scansa l’ascensore esploso con le porte divelte e si lancia sulle scale.
Il bip del sensore aumenta di frequenza nelle sue orecchie: 50 metri, 48, 45… Prega il tuo dio, sacco di trippa, sto venendo a cancellarti dall’universo! Sulle scale, piano dopo piano, aumentano il fumo e il calore, ma per il guerriero bionico non fa alcuna differenza. 10 metri: ci siamo! Mateus abbatte una porta bruciacchiata con un calcio potente e si butta dentro. Fumo e buio, mentre il pezzo metal accelera accelera accelera, fino a bloccarsi di colpo. Il silenzio è irreale, mentre il cyborg si guarda tutto attorno, cercando la traccia di vita che sembra sparita dal sensore. Dove sei dove sei dove sei dove sei?
Poi si accende un faretto sul fondo, punta sul faccione di quello che sembra il clown assassino di IT. Parte la musica di “Tanti auguri a te”, una versione distorta dal sintetizzatore, mentre il clown solleva le mani dal buio e porge una torta rossa con sopra un candelotto di dinamite acceso.
“Auguri Mateus!” – urla il clown con voce stridula, mentre la sua faccia e la torta diventano enormi. Nel frattempo la miccia del candelotto si esaurisce, il cyborg fa appena in tempo ad alzare un braccio corazzato davanti a sé, piegandosi all’indietro, quando il candelotto esplode e il rosso della torta invade l’intero campo visivo. HAPPY DEATHDAY! lampeggia ora a tutto schermo.
“Brutto stronzo, mi hai fregato!” – ghigna Matteo nell’auricolare.
“Sorpresa!” – risponde Lorenzo.
Matteo si toglie la cuffia e si stropiccia gli occhi, nella penombra della sua camera. Non sa nemmeno se è giorno o notte. Sente le gambe anchilosate, si alza a fatica e fa due piegamenti. Poi suona il campanello. Il ragazzo attraversa il salotto pieno di cartoni di cibo abbandonati ovunque, colpito da un mix di odori multietnico, dalla pizza al cinese. Arriva alla porta e apre. Non c’è nessuno, solo un pacchetto regalo di Amazon. Lo butta sul divano, si infila l’auricolare bluetooth e riaggancia Lorenzo.
“Arrivato un pacco. Adesso te li mollano davanti alla porta e via.”
“Guarda che fuori la gente lavora, mica ha tempo da perdere. “
“Bravi, lavorate per un futuro migliore. “
Il ragazzo scarta il pacchetto: una card regalo per scaricare giochi online, una mascherina nera con filtro e un biglietto. Caro Matteo, divertiti ma fai attenzione. Buon compleanno da mamma e papà.
Si alza dal divano, addenta un pezzo di focaccia fredda, si sistema meglio l’auricolare all’orecchio, arriva alla finestra e guarda fuori.
“Dove sono finiti tutti quanti? Non c’è in giro un’anima.”
“E io che ne so. Stiamo giocando da almeno… una settimana?”
Matteo tira un calcio a un cartone da pizza sporco e torna verso il divano.
“Mi sa che ci conviene ricominciare.”
*****
Impaziente quindici
Roma, ore 18 in punto. Il capo della Protezione civile, un ometto tarchiato e visibilmente stanco, si siede alla sua consueta postazione. Ha davanti un microfono, una telecamera e una ventina di giornalisti, ben distanziati fra loro nella sala, tutti con mascherina sul volto.
L’assistente alla regia, in piedi accanto al cameraman, scandisce i tempi agitando un braccio come a un incontro di boxe: cinque, quattro, tre, due, uno… in onda! Il relatore guarda in macchina, un po’ perso, poi stropiccia i fogli che ha davanti a sé, fa un colpetto di tosse da imbarazzo. Intanto l’assistente continua a puntarlo col dito, per confermargli che tocca proprio a lui.
Quello si sfiora prima un orecchio, poi l’altro. Finalmente, l’auricolare di destra si attiva e gli arriva forte e chiara la voce del viceministro. “Bene, ho letto gli ultimi dati. Partiamo dai morti, poi i nuovi contagiati, infine i nuovi ingressi in terapia intensiva, lasciamo perdere i guariti.”
– Buonasera a tutti, – attacca il relatore. – Comincerei, come ogni sera, con i dati odierni relativi all’andamento del contagio.
Deve ancora finire di snocciolare le cifre, quando si attiva anche l’auricolare di sinistra, collegato al responsabile del Servizio sanitario nazionale, un noto luminare della virologia. “Salve, spero possa sentirmi. Non capisco francamente perché stasera sia partito dai morti. La tendenza dei contagi è in calo per la prima volta da quattro settimane. I morti invece sono ancora legati ai contagiati di quindici, venti giorni fa. Così si crea preoccupazione inutile e si scoraggia la gente che resta a casa, senza vedere risultati concreti.”
– I dati relativi ai contagi ci inducono per la prima volta a tirare un piccolo respiro di sollievo, perché cominciamo a intravedere…“Non esageri con l’ottimismo, qui c’è il rischio che si riaprano le gabbie: tutti in giro a passeggiare e addio risultati ottenuti,” puntualizza il viceministro, all’auricolare. “Chiarisca che non c’è da stare allegri, ma bisogna tenere alta la guardia. Tutti a casa salvo motivi di forza maggiore documentati, se no mandiamo davvero l’esercito casa per casa.”
– Mai abbassare la guardia, però. I virologi ci avvertono che rischieremmo un’ondata di contagi di ritorno che sarebbe la peggiore… – il capo della Protezione civile deve interrompersi per un altro forte colpo di tosse.“Perché cita i virologi a sproposito e senza dati ufficiali? Nessuno ha fatto dichiarazioni in merito a un possibile ritorno dei contagi,” ribatte il virologo dall’auricolare di sinistra. “Non lo possiamo escludere, ma nemmeno prevedere. Certo le misure di contenimento vanno rispettate, ma le decisioni in merito spettano sempre alla politica.”
– Certo, sarà poi il governo a decidere le modalità precise del possibile ritorno a una fase di relativa… “Ingegnere, NON prenda impegni per conto del governo, attenda disposizioni precise prima di indicare a chi spetta o spetterebbe la precisa definizione del…” puntualizza il viceministro.
Il relatore balza in piedi, sudato e stravolto, davanti agli occhi allibiti dei giornalisti delle principali testate, del cameraman e dell’assistente alla regia.
– Chiedo scusa, ma devo interrompere la conferenza stampa. Potrei essere positivo al Covid 19. Vado a farmi ricoverare d’urgenza, arrivederci.
Il capo della Protezione civile si volta e se ne va, tossendo in modo convulso.
*****
Impaziente sedici
Lin Han, come ogni sera, attiva il pulitore a vapore e comincia a lavare il corridoio del blocco C. Si muove agile e sicura, con le braccia e le gambe rese forti dal duro lavoro quotidiano. Ci mette poco meno di mezz’ora. Poi prende il carrello dal magazzino e attacca a pulire le scrivanie degli uffici che oppongono poca resistenza, ordinate e quasi spoglie come sono.
Tipi singolari, i chimici ricercatori che lavorano lì. Molti non hanno famiglia, benché siano giovani uomini con uno stipendio più che onorevole, decisamente sopra la media. Sarà che vivono in un mondo tutto loro, pensa Lin. Qualcuno dà perfino l’impressione di non aver mai visto una donna, almeno non in quel senso. Certo non guardano lei, tozza e mascolina com’è. Ma lei che c’entra, lei non fa testo. A parte il fatto che attacca a lavorare quando loro in buona parte finiscono il turno, dunque a malapena si incrociano.
In ogni caso, non ci sarebbe storia. Loro sono giovani scienziati di belle speranze, lei una donnetta delle pulizie di oltre quarant’anni. Però… nessuno le impedisce di sognare, nelle sue lunghe ore serali di lavoro solitario. E così, Lin Han si diverte a immaginarsi sposata ora con questo ora con quello, mentre aspetta il marito, la sera, in una bella casa illuminata, davanti a una cena romantica preparata dalla servitù. Poi si vede sul divano col suo uomo, in un bel salotto caldo, a raccontarsi le reciproche giornate, ridendo delle assurdità della vita.
Ecco Chu Lee, il suo collega del Blocco A, che va a rifornirsi in magazzino: dimentica sempre qualcosa. Ciao Chu! Lui sorride appena e corre via, un po’ affannato e sudaticcio. Ora le tocca la parte più delicata: l’ufficio personale del professor Huan, accanto al laboratorio virologico.
Lui è il grande capo di tutto il complesso di ricerca, un vero luminare di alto livello, sempre severo e distaccato, guai a contraddirlo. Lei per fortuna non ci ha mai avuto a che fare, ma le hanno detto che bisogna sempre trattarlo con grande deferenza.Il suo studio è l’unico indipendente e dotato di veneziane per oscurare i vetri che lo circondano. Di giorno, la porta è sempre chiusa e bisogna bussare per farsi ricevere.
Ma a quest’ora la porta è aperta e le luci sono accese. Lin Han entra sicura, come centinaia di altre sere. Accosta il carrello a una parete, prende il piumino, fa due passi in avanti e solo allora lo vede. Il professor Huan, seduto alla sua scrivania davanti a un dossier aperto, immobile, la guarda a occhi sbarrati. La donna resta impietrita, incapace di dire una parola.
– Cosa vuole? – chiede lui, secco e sgarbato.
– Io… io…
– Ho capito, a quest’ora comandano gli sguatteri. Cose da pazzi! – esplode il professore.
Si alza di scatto, chiude il dossier con una manata e lo butta in un cassetto. Poi afferra il soprabito ed esce dallo studio, sbuffando. Lin Han, rossa in faccia, resta immobile ancora per un po’, finché non sente sbattere la porta in fondo al corridoio. Poi riprende a respirare, si avvicina alla scrivania e comincia a spolverare, con lacrime di rabbia e timore che le rigano il volto. Cosa ha fatto di male? Come poteva immaginare di trovarlo ancora lì? Perderà il posto per questo?
Finisce di pulire lo studio quasi senza accorgersene, con movimenti meccanici e la mente altrove. Alla fine, si ritrova stremata e con la testa confusa e pesante, incapace di pensare a cosa farà nei prossimi cinque minuti. Finché, all’improvviso, un lampo di luce le attraversa la mente. Segue quell’intuizione senza pensare, di nuovo con movimenti quasi inconsapevoli.
Prende dal grembiule il pass che sblocca la porta del laboratorio virologico e si avvia decisa verso un’area che le sarebbe interdetta. Quel pass lei non dovrebbe averlo, forse non avrebbe nemmeno dovuto fare al capo della sicurezza quella cosetta che ha fatto, una sera, nel magazzino. Ma, in ogni caso, ora intende usare quel regalo prezioso. Si infila una mascherina chirurgica e un paio dei suoi guanti di lattice, striscia il pass davanti al sensore ed entra nel laboratorio. Accende le luci al led e si ritrova nel cuore del centro di ricerca, circondata da pareti di cristallo e banconi bianchissimi.
Prende un respiro profondo e allunga una mano verso uno sportello a caso. Preme un pulsante e l’anta scorre morbidamente di lato, scoprendo una base cilindrica nella quale è infilato un flacone di vetro azzurro. Lo sfila dalla base e lo guarda, sudando freddo. Deve impedirsi di pensare, non può fermarsi proprio adesso. Ma cambia idea e, tremando, fa per rimettere a posto il flacone. Quello però le sfugge di mano, cade a terra, va in frantumi.
Lin Han fa un passo indietro, terrorizzata. Guarda i frammenti di vetro umidi sparsi a terra e un lieve vapore che li avvolge. Chissà se, lì dentro, c’era davvero qualcosa di vivo.
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Impaziente diciassette
L’uomo nudo abita in centro. Nel suo palazzo, la maggior parte dei condomini o era già via e non è rientrata a Milano o ha trovato il modo di tagliare la corda, appena scoppiata la pandemia. Le seconde case al mare, in montagna o almeno su qualche lago, si sono rivelate preziosi e confortevoli rifugi.Lui no, lui è rimasto nell’unica casa che possiede e che abita da solo, almeno dalla morte della madre, sei anni fa. La signora, ricca e affettuosa dittatrice, si è risparmiata quella che avrebbe di certo giudicato una solenne, inelegante scocciatura.
L’uomo nudo ha fatto il bravo bambino per un paio di settimane. Ha seguito buono buono le notizie e ha rispettato tutte le severe disposizioni di politici in evidente stato confusionale. Poi, poco a poco, ha cominciato a mollare le redini. Da un paio di giorni, fuma anche un po’ di più e beve un paio di bicchieri di troppo. Che vuoi che sia? Devo forse rispondere di qualcosa a qualcuno? Devo forse andare a una di quelle stupide riunioni con gli avvocati di mia madre per tenere insieme i cocci del suo piccolo impero? Niente di tutto questo, per la prima volta in sei anni: grazie Covid 19!
E così, stamattina l’uomo nudo ha deciso di farsi un giretto in centro. Senza autocertificazione, senza guanti né mascherina obbligatoria, senza mutande. Sulle scale del palazzo non incontra anima viva. Il custode Vito sta trafficando con la posta proprio mentre l’uomo nudo gli sfila davanti. Un attimo dopo, alza la testa: gli è sembrato di percepire qualcosa di insolito, ma deve essersi sbagliato. Fuori dal portone, esplodono il caldo e la luce di una primavera assassina.
L’uomo nudo, dopo un attimo di stordimento, si avvia tranquillo e con un mezzo sorriso sul volto, godendosi il calore del sole sulla pelle e la delicata carezza di qualche soffio di vento. Cammina morbido e rilassato, scoprendo la sensazione nuova dell’asfalto ruvido che pizzica le piante dei piedi. Non ha ancora incrociato nessuno, quando svolta a un angolo e passa di fianco all’edicola di Luigi, storico fornitore di famiglia. Quello lo vede e resta immobile nel suo vano in penombra, foderato di riviste invendute, la sigaretta elettronica incollata alle labbra.
Ma l’uomo nudo oggi non ha voglia di leggere, così passa oltre. Sfiora una delle uscite della metro e quasi si scontra con una tizia in tailleur scuro, borsa e mascherina, appena riemersa. La donna fa un salto per lo spavento e caccia un urlo, poi scappa di corsa, rifacendo le scale verso il basso. Si sporge appena da sotto, gli occhi spalancati, per vedere la situazione.
Ma l’uomo nudo non ha tempo di darle retta. Prosegue la sua bella passeggiata primaverile e, quasi senza accorgersene, si ritrova in piazza Duomo, abbacinante di luce e di libertà. Il silenzio è irreale e quasi assoluto, a parte il leggero gracchiare di un ricevitore radio, in lontananza.
L’uomo nudo arriva al centro della piazza, godendosi il calore del pavet sotto i piedi, ormai meno sensibili. Si ferma e respira a fondo, godendosi la vista di quella cattedrale che sembra eretta in suo onore. Poi alza le braccia al cielo, i palmi rivolti verso l’alto e resta immobile e trionfante, ad occhi chiusi, come una nuova divinità pagana. I passerotti, tornati ad abitare la piazza, cominciano a rendergli onore, posandosi sulle sue braccia aperte, sulle sue spalle, sul suo capo.
L’uomo nudo non li può vedere, ma sa che la piazza si è ora popolata di volatili tropicali, farfalle sgargianti, scoiattoli, daini e pappagalli, tutti accorsi a festeggiare il suo trionfo. Il gracchiare della ricetrasmittente si fa più vicino. Una voce perentoria ordina qualcosa, ma è solo un brusio indistinto alle orecchie purissime del nuovo dio della città.
*****
Impaziente diciotto
Alex arriva a piedi davanti alla banca, si ferma e lancia uno sguardo all’interno, attraverso la vetrata. E’ una di quelle filiali moderne, tutte piante verdi, colori chiari e salottini organizzati a isola per accoglierti in letizia e farti capire che loro no, loro non ti vogliono fregare. Ora ci saranno quattro o cinque persone al massimo all’interno e nessuno in attesa fuori.
Molto bene, pensa Alex.L’uomo si avvicina all’ingresso, lancia un’occhiata al poster con le norme di sicurezza che regolano l’accesso, si abbassa la mascherina sotto il mento ed entra deciso. Appena il robusto ragazzo di colore della sorveglianza lo vede entrare, gli fa segno di rimettersi la mascherina. Ma Alex lo ignora, raggiunge rapido il centro della banca e, guardandosi attorno, urla: – Tutti a terra o tossisco!
Tutti quanti, compreso il sorvegliante, si buttano a terra, stringendosi le mascherine al viso per non respirare. Alex apre la sacca di tela che tiene in spalla e corre verso lo sportello di cassa. Lì, dietro un vetro, un’impiegata di mezza età, occhiali e mascherina sul volto, lo guarda con le pupille dilatate dalla paura.
– Coraggio bella, apri la cassa.
– Guardi che non c’è quasi nulla, viene svuotata ogni sera e oggi…
– Tira fuori quello che c’è, forza!
La donna fruga sotto il bancone, con movimenti impacciati, mentre Alex si guarda intorno. I pochi clienti e gli impiegati della banca sono stesi a terra, immobili, accanto alle poltroncine che occupavano poco prima. Solo il sorvegliante tenta di alzare la testa.
– Allora non ci siamo capiti: devo proprio tossirti in faccia?
Subito il giovane nero si immobilizza e torna ad abbassare la testa. Nel frattempo, la cassiera ha messo sul bancone qualche fascio di banconote e comincia a passare il denaro attraverso la fessura del vetro. Alex infila veloce le banconote nella sacca e sbuffa:
– Tutto qui? Vuoi vedere che era meglio stare a casa ad aspettare il reddito di cittadinanza?
La cassiera annuisce senza particolare convinzione, con la fronte imperlata di sudore e gli occhiali appannati. Alex si infila veloce la sacca sulla spalla e torna al centro del locale.
– Signori, è stato un vero piacere.
Fa un altro colpo di tosse forzato, per coprirsi la fuga mentre esce. Poi si rimette la mascherina e si avvia con calma verso la Nissan grigia che lo aspetta a motore acceso proprio lì davanti. L’auto riparte di scatto dopo che Alex è salito a bordo. Alla guida c’è un tizio grosso e pelato, ma con la faccia da bambino, mascherina sul volto e aria preoccupata.
– Tutto ok?
– Liscio come lo sciroppo per la tosse, – ridacchia Alex.
L’uomo alla guida annuisce, molto sollevato. Ma all’improvviso starnutisce forte dentro la mascherina. L’auto scarta un po’ di lato, ma il conducente riprende subito la traiettoria. Alex lo guarda con preoccupazione.
– Ma che cavolo…
– Tranquillo, è solo un po’ di allergia.
– Allergia a cosa?
– Polvere, graminacee, ambrosia, maionese… mai capito esattamente.
– Niente tosse secca, febbre, mancanza di respiro?
– Ma no, credi che abbia il virus? Tranquillo, ti ho detto.
– Ok, ma guarda che, se te lo becchi, la prossima volta in banca ci entri tu.
– Affare fatto, ma non credere che…
Parte improvvisa una sirena in lontananza. I due restano inchiodati ai sedili.
– Rallenta, – dice Alex al conducente.
– Come?
– Rallenta, ho detto.
La sirena si avvicina, diventa assordante e sfila via. Un’ambulanza. I due uomini riprendono a respirare, affannosamente, sotto le mascherine.
*****
Impaziente diciannove
5 semplici regole per un buon meeting video:
1. vestiti come se dovessi uscire e, se sei donna, truccati come d’abitudine;
2. scegli come sfondo un angolo della casa che in qualche modo ti rappresenti, o che sia almeno in ordine e abbastanza luminoso;
3. posiziona il dispositivo con cui ti colleghi in modo che la videocamera sia all’altezza dei tuoi occhi;
4. usa un tono di voce solo un po’ più alto di quello abituale, ma senza urlare;
5. prepara accanto alla tua postazione tutto quanto ti serve (notes, penna, agenda, tazza con la bevanda preferita) per evitare di alzarti durante il collegamento.
– Ragazze, ci siete?
– Eccomi!
– Ci siamo!
– Vi vedo!
– Ci vedi e ci senti?
– Certo, se no andrei a Lourdes!
Risate.
– Ok, forte e chiaro!
– Maura ha detto che ci raggiunge fra poco. Il piccolo reclama il latte.
– Tenero!
– Bravo Mattia, prima la colazione…
– Bene ragazze, come state?
– Teniamo duro!
– Mah, sempre più dura.
– Beate voi che qualcosa di duro lo tenete!
– Barbara, non cominciamo eh…
Risatine.
– Voi almeno avete il terrazzo, Valeria persino il giardino…
– Capirai, due alberelli stecchiti e un cespuglio.
– Dici niente, io mi affaccio e vedo l’autorimessa.
– Ciao belle, ci sono anch’io!
– (in coro) Ciao Maura!!!
– Come sta Mattia?
– Bene, ma che fatica… stanotte ha dormito ben poco.
– Povero…
– Sente anche lui lo stress.
– Ma ha già detto le prime paroline?
– Mamma e pappa, finora. Speriamo che la terza non sia virus.
– No dai, speriamo che la terza sia papà.
– Bah, in questi giorni, non so chi dei due faccia più danni.
– Dai Mauraaaaa.
Risate.
– Ok ragazze, finiti i convenevoli, vogliamo fare il punto della situazione?
– Alessia, cominci tu? …..
– Alessia, ci sei? …..
– Alessia, non ti vediamo più!
– Mi sa che le è arrivato il corriere con la tinta!
Risate.
– Ah be’, allora comincia tu, Michela.
– Ok, grazie, allora prima di
– Michela? Ti vediamo ma non ti sentiamo. Mi-che-la… Niente da fare, ragazze. Ma cosa ho fatto di male per… Sentite, libere tutte e amen. Io adesso esco nuda e abbraccio chiunque incontro, fanculo il virus, voglio farla finita, una volta per sempre. Chiudo e ciao. …..
– Valeria, dai non fare così!
– Siamo tutte con te, forza Valeria!
– Valeria, ci sei?
*****
Impaziente venti
La strada sale lungo la collina morbida e sinuosa, avvolta dal verde brillante punteggiato di fiori, fino a uno splendido poggio baciato dal sole. Qui, un tranquillo ristorante tutto legno e ampie vetrate si affaccia sulla vallata immobile. Nessuna auto si avventura lungo la statale che sale fino al poggio, nessun ciclista volenteroso, nessun escursionista solitario. Qui regna la pace assoluta.
Ma, attorno al ristorante, si colgono movimenti quasi impercettibili. Uomini in tuta mimetica scura, occhi che scrutano tutto intorno e fucili mitragliatori carichi. Dietro il locale, il parcheggio è pieno di grandi berline con i vetri oscurati e potenti SUV dalle targhe che sembrano codici cifrati.
Avvicinandosi un po’ alle vetrate, si sentono voci festose e brindisi chiassosi alzarsi dall’interno. Fase 5, fase 4, fase 3, fase 2, fase 1, cheeers!!! E giù tutti a ridere, abbracciarsi, brindare, prendersi allegramente per i fondelli.
Un bell’uomo di mezza età, nel suo elegante completo scuro, accenna un passo di danza con la sua signora, visibilmente più agée di lui. Una corpulenta matrona, in genere così compassata, è la sola a brindare con un enorme boccale di birra. Poi si sporge lungo la tavolata per scompigliare l’impeccabile capigliatura di un tizio in giacca carta da zucchero e pochette. Lui sorride, conciliante e signorile, mentre si ricompone la frangia con una mano e agita l’altra di taglio, dando della birba alla signora.
Un marcantonio biondiccio, rosso in faccia, sudato e visibilmente ubriaco, cerca di salire in piedi sul tavolo, ma viene cortesemente dissuaso da un paio di commensali più sobri. In un angolo più tranquillo, accanto a una vetrata, due giovani donne dai tratti nordeuropei allattano tranquille i loro neonati, come sono abituate a fare anche nei rispettivi parlamenti.
– Allora, chi viene a giocare a golf? – urla, con evidente accento francese, il tizio che ballava insieme alla moglie.
– Naaaaa, io voto per una bella scampagnata sui prati! – replica la signora con la birra.
– Angela, perché devi sempre votare contro? – fa finta d’incazzarsi l’uomo, e tutti giù a ridere.
Quello impettito con la pochette inamidata commenta benevolo: – Ragazzi, da quanto tempo non ci divertivamo così? Abbiamo fatto proprio bene a richiudere tutto. Bella idea, tirare fuori la balla del nuovo picco di contagi.
– Bravo Giuseppe, tanto poi chi va a controllare? – esclama l’uomo con la moglie agée.
La signora corpulenta annuisce soddisfatta, dopo un’altra generosa sorsata di birra: – Già, chi ci capisce niente in tutto questo casino? E poi ormai la gente ci ha preso gusto a videochiamarsi, ballare e a sfornare dolci in casa, giusto? Vedrete che, presto, nemmeno avranno più voglia di uscire.
– Ballare, ballare, ballare! – urla il tizio biondo e alticcio, dimenandosi come un pazzo, prima di crollare a terra.
– Boris, ma tu non avevi detto di avere un filo di febbre? – chiede ironico il signore elegante e di nuovo pettinatissimo.
Scoppia una grande risata generale che fa tremare i vetri del ristorante. Una delle ombre nere di guardia all’esterno si volta e sfiora il grilletto con un dito. Falso allarme. L’ombra torna immobile, proprio come tutto il resto del mondo.
*****
AUTOCERTIFICAZIONE PER UN SANO RITORNO ALLA REGOLARE VITA SOCIALE
Il sottoscritto _______________ nato a __________ il ________ residente a ___________
in Via/P.zza_____________________ documento d’identità n. _________________
D I C H I A R A sotto la propria responsabilità e consapevole delle sanzioni attualmente in vigore, che:
1. non voterà mai più politici incapaci, disonesti, ignoranti e presenzialisti televisivi, per il suo interesse personale o per vaghe simpatie ideologiche. dichiara inoltre che voterà solo i rappresentanti di proposte politiche legate a programmi articolati e di larghe visioni, che si sarà preso la briga di leggere con attenzione prima di recarsi alle urne;
2. seguirà con attenzione le indicazioni, le previsioni e i moniti di scienziati e ricercatori di valore internazionale, attraverso canali attendibili e certificati, riguardo all’evoluzione della vita e della salute dell’intero pianeta, chiedendone regolarmente conto ai politici scelti con le modalità esposte nel punto 1;
3. si sforzerà di mantenere in vigore ogni giorno, nel suo quotidiano, in casa, in ufficio e in tutti i luoghi pubblici le norme igieniche di base che magari ha imparato a conoscere solo durante i giorni del lungo autoisolamento forzato.In particolare:- lavarsi SEMPRE le mani prima di mangiare e di preparare i pasti, oltre che dopo essere stati in bagno;- togliersi sempre le scarpe entrando in casa dall’esterno;- per chi lo usa, cambiare il pigiama una volta alla settimana.
4. chiamerà più spesso gli amici che non sente da tempo, per accertarsi che stiano bene, e si libererà da amicizie e legami tossici, o semplicemente superflui per una vita sociale sana e soddisfacente;
5. si iscriverà a corsi di musica e/o canto, se ha sincere velleità espressive, o anche solo per tenersi pronto a dare prove più dignitose in caso di eventuali, future emergenze.
6. farà scorta di pasta, pelati, legumi secchi, tonno in scatola ma soprattutto di nuove idee, da usare subito o da conservare per i giorni impegnativi che seguiranno;
7. appena possibile, andrà a visitare tutti i posti che ha sempre desiderato vedere: un po’ per accertarsi che siano ancora lì e un po’ perché non si può dire quanto durerà la ritrovata libertà di movimento;
8. cercherà di lasciare, in questa vita, una traccia almeno decente di sé, magari facendosi ricordare per qualcosa di più e meglio di una fede calcistica, un cellulare ultimo modello e una mascherina appesa al muro, solo per farci due risate con gli amici quando tutto sarà finito, senza aver imparato nulla.
Data ________________ Firma _______________________________
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